MAURIZIO GAZZA GASCOIGNE: TRA GENIO E SREGOLATEZZA

Villa Strada di Cingoli, anno del signore 1990: nasce il secondogenito della famiglia Tittarelli, cognome fin troppo diffuso da quelle parti, almeno per qualche altro anno ancora…

Fin da bambino l’intraprendente Maurizio Tittarelli mette in mostra doti innate: a 2 anni è già in grado di pronunciare il nome di Christodoulopulos senza evocare spiriti immondi, a 4 anni palleggia con il piede sinistro meglio di Gennaro Gattuso, a 8 anni è campione italiano di Iss Pro Evolution Soccer per Play Station 1.

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La sua storia calcistica inizia – come sempre quando si racconta la storia di un talento fuori dal comune, non di uno come tanti – in un campo di sabbia di periferia, nella favela villastradese. Con il fedele amico Tango muove i primi colpi di tacco, i primi sombrero e le prime rabone ai danni dei piccoli amici che guardavano increduli le sue mirabolanti gesta. Di giorno tra la terra, di sera col bacardi. Già, perché a 10 anni Maurizio scopre la seconda grande passione della sua vita: l’alcol. Passione senza la quale, forse, sarebbe approdato nel calcio professionista. Ma passione grazie alla quale, forse, stiamo qui a raccontare di un genio senza precedenti.

“Una volta gli dissi che il suo Q.I.  era inferiore al suo numero di maglia e lui mi chiese: Che cos’è un Q.I.?” [cit. Mario Goro]

Dalla sabbia di Villa Strada Maurizio passa alla terra dei Cappuccini, donando alla squadra dei Pulcini colpi di una maestria tale da essergli affibbiato subito il soprannome di “Il Cigno di Strada”, termine dalla doppia valenza: da un lato la terra natìa, Villa Strada, dall’altro l’attaccamento alle origini, la strada intesa come quartiere. Perché quel quartiere, nel tempo libero, l’enfant terrible lo frequenta costantemente, ma non tanto diligentemente. E’ lì che si procura i primi guai con la giustizia: il suo carattere stravagante, diverso da quello di tutti gli altri, che gli fa vedere le cose in modo differente (spesso illuminante), che in campo lo rende capace di cose mai viste è lo stesso che fuori dal campo lo spinge a gesti sconsiderati o addirittura illegali. E di pari passo la sua popolarità inizia a calare vertiginosamente, tanto da essere espulso dalla S.Francesco e da farlo rimanere disoccupato.

Vaglielo a spiegare, al mondo intero, che di giocatori così ne nasce uno ogni mille: quelle scappatelle sono solo il suo modo di esprimere una creatività alquanto particolare ma certamente da non soffocare.

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Piombato nell’oblìo dell’alcolismo per la difficile situazione, con la frequentazione di losche compagnie che di certo non gli rendono più rosee le aspettative, ecco che la vita – come di rado accade – decide di concedergli una seconda chanches: la Polisportiva Victoria lo ingaggia come portaborracce della locale squadra di calcio a 5, militante nel campionato di CSI. Un affronto che il “divino” non poteva subire, ma anche l’ultima possibilità di rimanere ancorato al calcio giocato. E’ così che, seppur  contrariato, accetta. Ma  la sua personalità non è di quelle che possono restare sottotraccia: il primo giorno di allenamento lascia le borracce, entra in tackle sul mister, gli ruba il pallone, scarta sei avversari, alza la palla e la scaraventa sotto al sette. Squadra in delirio, dirigenza incredula: si narra che per non perdere tempo e concludere l’affare il dirigente Ultimi abbia fatto firmare il giocatore su un fazzoletto di carta. Il ritrovato Tittarelli stava per scrivere una nuova pagina della storia della Polisportiva.

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Da subito le splendide prodezze di Tittarelli conducono la squadra a traguardi impensabili, i tifosi lo acclamano come si fa al passaggio della Madonna durante la processione. La formazione di Villa Strada approda nel campionato FIGC, sempre per suo volere, e vince tutto quello che una compagine di provincia riesce a sognare. E tutto per merito di quel genio ribelle che faceva di questa massima la sua ragione di vita: “Qualunque cosa io faccia nella vita deve essere divertente: se non lo è vuol dire che ho fallito”.

Maurizio Tittarelli possiede intelligenza calcistica a palate (ed è un’intelligenza abbagliante, che comporta, tra le altre doti, una sorprendente coordinazione e la capacità di sfruttare all’istante una situazione che nel giro di due secondi non sarà più la stessa), tuttavia è evidente e leggendaria la sua assoluta mancanza del benché minimo buonsenso.” [cit. Don Oscar]

Nello spogliatoio e nell’ambiente si era imposto come un leader: si racconta che un giorno un allenatore provò a sgridarlo per i consueti ritardi con cui si presentava ad ogni appuntamento; quell’uomo oggi allena nella terza categoria iraniana.

Le frequenti assenze e i ritardi con cui giungeva al centro sportivo erano sempre dovuti  a quel vizio che mai lo abbandonò: probabilmente, però, erano proprio quei lunghi pomeriggi passati tra birra e gioco d’azzardo che gli regalavano la giusta dose di adrenalina, che gli consentivano di baciare con le sue magie i campi di tutta la provincia. Questo tutti lo sapevano, e lo rispettavano, e questo gli valse per sempre l’appellativo di “MAURIZIO GAZZA GASCOIGNE, L’UOMO CHE VISSE E GIOCO’ TRA GENIO E SREGOLATEZZA”.